Te lo do io il Brasile



Domani iniziano i tanto chiacchierati mondiali di calcio sudamericani e noi non potevamo certo perdere l'occasione per scriverci su.
Visti i fiumi d'inchiostro, virtuale e non, che sono stati versati per anticipare l'evento, la nostra sarà solo una piccola goccia nel mare.
Partiamo dal lato umano, quello che si occupa del contrasto fra i nuovi stadi appena costruiti e milioni di persone che vivono nelle favelas.
Non è certo una novità che il Brasile sia un paese pieno di contraddizioni ma qualcuno può affermare con certezza che l'intero pianeta non lo sia?
I poveri brasiliani stanno avendo ciò che gli dovevamo da tempo: fargli vivere il loro attimo di notorietà, speculandoci anche un po' sopra, trasformandoli in clochard dello start system, fortunati residenti della "favela chick", per dirla in maniera glamour.
Fanno da contorno alla manifestazione, da scenografia: in fondo vorreste forse dirci che ve ne freghi in realtà davvero qualcosa?
Non vi biasimo, è giusto così: se in Africa ogni minuto un bambino muore di fame perchè indignarsi per una situazione che esisteva già da prima, a prescindere dal roboante spettacolo del calcio mondiale che su di essa ha momentaneamente acceso i riflettori?
Una volta si combattevano le guerre, cosa che si fa ancora nei paesi meno sviluppati, quelli che non possono permettersi di mandare la nazionale "al fronte", oggi si giocano i mondiali o gli europei di calcio.
Va bene così: al termine della manifestazione i problemi rimarranno uguali a come sono adesso, i narcotrafficanti continueranno a fare mercato con la connivenza dello stato, i poveri a morire forse di fame, nel silenzio e nell'indifferenza generali.
Mi piacerebbe illudermi che non sarà così ed argomentare le ragioni che ve lo dimostrerebbero ma non posso: hanno già cantato gli inni e mi dispiacerebbe perdere il calcio d'inizio di Brasile-Croazia, la partita inaugurale.
Sono le ore 22 del 12 giugno 2014, ora italiana.

 
 


 
				
	

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